Hybrid Working, Overwork e Burnout sono gli elementi che contraddistinguono questi ultimi anni ma i leader innovativi e di larghe vedute conoscono la risposta per vivere il presente guardando al futuro e all’equilibrio di ogni employee
Cosa intendono le imprese per lavoro ibrido?
Questa è una domanda importante a cui rispondere per rispettare la salute e l’equilibrio di ogni dipendente, così da svolgere il proprio lavoro in sintonia con la vita privata.
<<L’Hybrid working trova il successo nel momento in cui vi è un dialogo costante e personale con l’employee, che altrimenti potrebbe andare incontro a conseguenza da superlavoro o burnout. Con una buona dose di autonomia e flessibilità, determinati limiti e deadline, i compiti vengono gestiti nel migliore dei modi in una routine chiara tra casa e ufficio. Se ci pensate bene, la flessibilità che abbiamo avuto nell’era Covid-19 ci ha sostenuti in quello che altrimenti sarebbe stato un momento davvero difficile>> afferma Giuseppe Catapano, Co-founder di XCC – eXperience Cloud Consulting.
Oggi, l’ibrido è uno stato mentale, ossia l’idea di spostamento tra una postazione all’altra senza interruzioni mentali. Per tale ragione XCC ha predisposto meccanismi che garantiscono ai suoi professionisti tutti gli strumenti necessari per lavorare sia da remoto che in sede, premiando il lavoro svolto più che la presenza nelle canoniche 8 ore lavorative.
Overwork e Burnout colpiscono salute mentale e fisica
La novità del lavoro ibrido, con il passare dei mesi, in uno schema lavorativo poco strutturato e disfunzionale, ha lasciato spazio al overwork e burnout. Molti dipendenti confermano che lavorare da casa durante lo stress dell’emergenza sanitaria ha provocato stanchezza, difficoltà a disconnettersi dal lavoro, deterioramento dei propri rapporti sociali e indebolimento del senso di appartenenza. In aggiunta, da quando è arrivata la pandemia, le settimane lavorative sembrano allungarsi per alcuni lavoratori che si ritrovano a inviare e-mail e messaggi a mezzanotte mentre i confini tra la vita personale e professionale si dissolvono.
Nuovi studi mostrano che i lavoratori di tutto il mondo stanno facendo una media di 9,2 ore di straordinario non retribuito a settimana, rispetto alle 7,3 ore di un anno fa scrive Forbes sullo studio dell’ADP Research Institute. In definitiva, un dipendente su dieci afferma di aver impiegato più di 20 ore di lavoro gratuito a settimana per compensare i colleghi che hanno perso o lasciato il lavoro, o semplicemente per far fronte al carico di lavoro in più creato dalla pandemia che ha portato a un inevitabile aumento della flessibilità. Quindi l’emergenza sanitaria ha messo in evidenza non solo i problemi di stress e burnout causati dal superlavoro, ma anche l’aumento della disoccupazione portando alla soluzione di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni.
Nuovo anno, nuovi approcci
Questo approccio entra nella cornice in cui le aziende ripensano alle proprie politiche lavorative, facendo fronte al fenomeno delle “Grandi dimissioni”, alla difficoltà nel trattenere i talenti nel bel mezzo di una pandemia globale e al suo continuo evolversi. Ebbene, alcuni leader vedono questa come un’opportunità per ripensare al modo in cui i dipendenti hanno lavorato tradizionalmente, optando per disposizioni ancora più flessibili e creative che hanno maggiori probabilità di attirare e trattenere talenti. Una settimana lavorativa ridotta potrebbe presto diventare realtà, non solo in Danimarca, Stati Uniti o Emirati Arabi, ma anche in tutto il Regno Unito che sta testando il successo di questo format e, un giorno, in un’Italia al passo con i tempi.
Inoltre, se vogliamo essere cinici e crudi, il 55% dei lavoratori remoti prenderebbe seriamente in considerazione l’idea di dimettersi se le loro aziende tentassero di forzare il ritorno negli uffici, secondo una ricerca americana del Morning Consult.
I dirigenti dovranno, quindi, ascoltare le richieste di flessibilità dei dipendenti, accogliere le loro necessità e idee per la salute della persona e dell’azienda stessa.